Provate ad immaginare per un attimo il giro di affari che può sostenere un’azienda della grandezza ed importanza di Google. Si parla certamente di numeri a tantissimi zeri, cifre difficilmente contemplabili e ad cui di certo la maggior parte dei cittadini non è abituata. Ma la maggior parte dei cittadini è invece abituata a pagare le tasse, la cui presenza è assicurata ed incontrastabile ad ogni entrata registrata dallo Stato. Google questo lo sa bene, ed ecco che per gestire le ingenti somme di denaro che le passano per le mani ogni giorno, ricorre ad alcuni trucchetti (formalmente legali) che le permettono di non pagare le tasse o pagarne molto meno di quanto dovrebbe.
Ma oggi le cose sembra stiano per cambiare, o almeno è ciò che si intuisce dal primo passo effettuato dall’Australia. Accorgendosi infatti degli “strani” rapporti di Google col fisco (l’azienda versa poco o niente, con un giro d’affari di circa 900 milioni di dollari), il ministro delle comunicazioni del governo ha deciso di pensare ad un piano che impedisca a big G ed alle altre grandi multinazionali statunitensi di “evadere” le tasse in un modo così sibillino.
Il procedimento, per intenderci, è sempre quello: grandi nomi come Apple o Google pianificano attentamente strategie finanziarie basate su Paesi in cui la pressione fiscale è minore. In questo modo riescono ad assicurarsi sempre il pagamento delle tasse più basse, ignorando di fatto, tramite cavilli legali di certo ben studiati, pagamenti più leciti e dovuti.
Come ben immaginate, la vicenda non va a genio a chi, invece, le tasse le paga e le paga pure tutte, magari dovendo sottostare ad uno sgravio fiscale molto alto (questo dipende ovviamente dal paese di residenza).
Prima dall’Australia, insomma, e poi dalla Francia, sembra ci siano indizi di un cambiamento. Che cominci ad essere l’ora, per Google e le altre multinazionali, di pagare le tasse come i “comuni mortali”?